Omelia Messa Crismale 2015 – 31 marzo 2015

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Omelia Messa Crismale 2015 – 31 marzo 2015

Carissimi fratelli presbiteri, diaconi permanenti, religiosi, seminaristi e, collaboratori pastorali, fedeli tutti qui presenti. Anche quest’anno ci stringiamo attorno a Cristo che con le parole dell’Apocalisse riconosciamo come colui che ci ama, ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue e ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il nostro Dio e Padre (Ap 1,5-6).

E’ un appuntamento carico di significato per noi: sentiamo il dovere di ringraziare il Signore per il dono del sacerdozio e per il dono della comunione presbiterale e vogliamo invocare la sua grazia su noi e sui sacri oli che nel prossimo anno serviranno al bene di tutta la comunità diocesana.

Questa messa crismale testimonia la bellezza della Chiesa,  sacramento universale di salvezza, popolo adunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Purtroppo siamo ancora troppo impregnati di una cultura individualista, poco evangelica, e non riusciamo a gustare la bellezza della comunione.

Il vangelo oggi ci ha parlato di un mandato che ci colloca di fronte a Cristo servo. La nostra identità ha la sua sorgente nella carità del Padre, che manda il Figlio, sacerdote sommo e buon pastore, per unirci sacramentalmente a Lui con il sacerdozio ministeriale grazie all’azione dello Spirito. La nostra vita e il nostro ministero sono continuazioni della sua vita e della sua azione. (cfr. PDV 18).

Noi dovremmo risplendere di luce riflessa, insegnare a guardare a Gesù, orientare lo sguardo a Lui, come il Battista: “Ecco l’Agnello di Dio” (Gv 1, 29). Non siamo leaders con la preoccupazione di attrarre le persone a noi; ma condurre a Lui. Siamo segno di Cristo missionario in vista della comunione col Padre e fra di noi.

Costituiamo un unico presbiterio (cfr.PO 8).

La nostra fraternità sacramentale è veramente grazia e compito. È una realtà misteriosa e nascosta, che deve diventare visibile e tangibile, facilmente decifrabile da parte dei nostri fratelli.

Il nostro sacerdozio è un grande tesoro, ma in vasi di creta (cfr. 2 Cor 4,7). Di esso conosciamo la bellezza e la grandiosità, ma anche la fatica e le nostre fragilità.

Per questo Gesù prega per noi, perché l’amore di Dio ci renda “uno”: «Padre tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola” (Gv.17,21).

Viviamo in una cultura dove tutto è provvisorio, nulla è stabile, e questo spezza e frantuma ogni relazione, dalle più sacre e intime dello spirito umano (marito-moglie, genitori-figli, tra uomini e Dio) a quelle della convivenza sociale.

La comunione sembra un miraggio, è desiderate da tutti: si spera che accada e si veda.

Ed è il dono originale che la Chiesa può offrire al mondo, perché di esse è segno ed esperta (cfr. 1Pt 3,15). Quando insieme noi ci ritroviamo per pregare, riflettere, organizzare o programmare… non lo facciamo per scelta strategica o per motivi di efficienza, ma per offrire speranza, inaugurare forme nuove di fraternità, di condivisione, di solidarietà, per realizzare la volontà di Dio.

Il primo servizio che noi presbiteri possiamo fare alla chiesa e ai nostri fedeli, non sono le tante a volte stressanti attività, ma la testimonianza di una fraternità concretamente vissuta, manifestazione della nostra identità e della nostra vita interiore.

Papa Francesco, nell’ultima assemblea dei Vescovi, ha espresso stima e affetto nei nostri confronti, e ha però affermato: “I nostri sacerdoti, voi lo sapete bene, sono spesso provati dalle esigenze del ministero e, a volte, anche scoraggiati dall’impressione della esiguità dei risultati” .

E in altre circostanze, come nella recente visita a Napoli, ha evidenziato alcune cause, quando, parlando ai sacerdoti, li ha invitati a mettere Gesù al “centro della vita”, ad andare dietro a Gesù e avere voglia di lavorare per Lui”, e andare oltre le chiacchiere, che “distruggono”: Ha detto: “Quello che chiacchiera, è un terrorista che butta una bomba, distrugge e lui è fuori”.

Il diavolo, “ci tenta sempre con gelosie, invidie, lotte interne, antipatie”, cose che “non ci aiutano a fare una vera fratellanza”, dando invece “testimonianza di divisione”. Se la vocazione significa lasciare o non avere una famiglia, dei figli, un amore coniugale, per finire a litigare col vescovo, con i fratelli sacerdoti, con i fedeli, “questa non è testimonianza”.

            Ai seminaristi ha detto: “Se voi non avete Gesù al centro, ritardate l’ordinazione. Se non siete sicuri che Gesù è il centro della vostra vita, aspettate un po’ più di tempo, per essere sicuri. Perché al contrario, incomincerete un cammino che non sapete come finirà”.

 “Quando nella Chiesa entra l’affarismo, sia nei sacerdoti che nei religiosi, è brutto,”…Una vita mondana non aiuta; il “vivere con lo spirito del mondo, con un eccesso di comodità”… non aiuta. “I sacerdoti noiosi, con amarezza di cuore, tristi hanno qualcosa che non va e devono dire: ‘Ma, non so cosa succede nella mia vita’”, dovrebbero invece  “testimoniare, con umiltà e semplicità, che la vita sacerdotale è un dono prezioso per la Chiesa e per il mondo”, un dono “da condividere, portando Cristo in ogni angolo di questa città”.

            Uscire, per andare fuori a predicare Cristo, amare la “sposa” di Gesù, la Chiesa e avere zelo apostolico.

Nel rinnovare stasera le nostre promesse sacerdotali, proviamo a riflettere sulla bellezza della nostra missione incarnata in una esistenza che non ha proprio nulla  di eccezionale.

Oggi si avverte una voglia matta di emergere, di evadere dalla quotidianità grigia, dall’ordinario, dall’anonimato, si cerca considerazione, attenzione, consensi, c’è una voglia capricciosa di originalità, di narcisismo e autorefenzialità.

Succede anche a noi preti: a volte avvertiamo un certo disagio, come se la vita che viviamo, quella comunità che serviamo, quel ministero che svolgiamo… non bastassero più, come se volessimo in qualche modo distinguerci di più, farci notare, come se sentissimo strette le condizioni nelle quali viviamo il nostro sacerdozio.

E ci chiediamo: è tutto qui?

Sono diventato prete solo per questo?

Proviamo a riflettere cioè sulla ordinarietà del nostro ministero, che invece costituisce la sua estrema bellezza ed essenzialità.

Quando siamo diventati presbiteri, – il mio pensiero va ai nostri diaconi che questa sera servono l’altare, P. Sebastiano Sabato, che sarà ordinato a Racale fra otto giorni e a d. Francesco Fiore, sempre di Racale, che sarà ordinato nei prossimi mesi,

il mio pensiero va anche ai confratelli

mons. Giuseppe Marulli, sacerdote da 70 anni 

don Giovanni Cartanì, d. Giovanni Chirivì e don Pasquale Rizzo  sacerdoti da  60 anni,

don Luigi Ferilli, don Salvatore Raho, e Mons. Sacino Giuseppe, al quale auguriamo una pronta guarigione, che celebrano il 50° anniversario sacerdotale.

            Come pure il pensiero va ai sei teologi che al termine della messa presenterò alla comunità, i quali dopo Pasqua saranno ordinati diaconi.

            …Quando siamo diventati presbiteri, all’inizio, tutto appariva entusiasmante, bello, sembrava tutto inedito; l’inizio del ministero è sempre suggestivo, è aperto a orizzonti sconfinati e ricco di emozioni.

Anche i discepoli del Vangelo partirono con slancio ed entusiasmo,  ma accadde che nel momento della croce abbandonarono Gesù nella solitudine e nel dolore, mentre in silenzio, si faceva carico dei loro peccati.

La stessa vita di Gesù, che ha salvato l’umanità di tutti i tempi, in fondo si è sviluppata in un’esistenza piccola, tre anni di ministero pubblico, entro confini ben circoscritti di una regione sconosciuta, e si è consumata in un evidente anche se apparente fallimento.

Noi, nella nostra piccola esperienza, vediamo l’orizzonte della nostra vita restringersi, fedeli che ci abbandonano,  ragazzi che dopo la cresima ci lasciano.

Quante volte abbiamo sperimentato la solitudine e il fallimento.

Eppure, proprio nel momento della crisi, quando è inchiodato sul legno della croce, esattamente allora Gesù ha effuso lo Spirito che ha raggiunto i confini del mondo e questa sera raggiunge noi.

È la parabola dell’esistenza sacerdotale.

Quando abbiamo detto il nostro SI al Signore, abbiamo quasi avvertito le vertigini di essere chiamati a qualcosa di grande, ad un amore senza confini, ma poi, lungo gli anni, l’entusiasmo è scemato e abbiamo scoperto che la via è stretta e impegnativa.

Siamo qui stasera per rinnovare la nostra fedeltà al Signore, per confermare la volontà di restare al suo servizio, a servizio della santità dei nostri fedeli, nonostante i limiti e le paure di non essere all’altezza, nonostante i nostri peccati; e a noi questa sera, come successe a Pietro e agli apostoli, dopo quella notte di fallimento nella pesca, Dio ridona la fiducia e ci invita a prendere il largo. Duc in altum!

Quando dovesse insinuarsi

  • la tentazione di pensare a situazioni pastorali differenti, forse in comunità migliori che non esistono, o con confratelli diversi da quelli reali;
  • la tentazione di ritagliarci un ministero su nostra misura, di sottrarci alla fatica di proposte pastorali più impegnative, di avventurarci in nuove forme di evangelizzazione,
  • la tentazione di lasciarci assorbire dalle tante urgenze e dall’affanno per la molteplicità degli impegni che alla fine si trasforma in evasione, invece di incarnazione e dedizione silenziosa ai piccoli, ai poveri, agli esclusi…

allora è il momento di dire come Pietro: Dove andrò Signore, tu solo hai parole di vita eterna! Signore, mi basta la tua parola, rimango fedele alla vocazione che mi hai dato, resto ancorato alla Chiesa per la quale mi hai voluto ministro, voglio amare questo mio presbiterio, perché solo il tuo cuore può portarmi pace.

Fratelli presbiteri, riscopriamo con stupore la bellezza e grandezza del nostro ministero e ricorriamo ai mezzi soprannaturali che il Signore ha messo a nostra disposizione.

Solo la preghiera può modificare la nostra vita e le vicende della storia.

La penitenza, la mortificazione, non intristiscono la vita, ma le donano nobiltà e dignità. Non dimentichiamo che a un sacerdote mortificato, che fa penitenza, che prega… si crede, a un prete che se la gode, anche se predica bene, non si crede.

E poi basta pensare alla gioia che possiamo distribuire nelle anime attraverso le nostre fatiche, attraverso la confessione, ministero grandissimo, per concludere: vale la pena.

La nostra efficacia non dipende dalle qualità che possediamo, ma dalla grazia di cui Dio ci ha fatto depositari: S. Giovanni Paolo II concentrava tutto il ministero sacerdotale in tre doni: la Parola, il Perdono, la Grazia, cioè la predicazione, la confessione, l’Eucarestia.

Infine c’è un altro aspetto che racchiude il segreto della nostra vita ordinaria e così straordinaria.

Oggi sta diminuendo la stima nei nostri confronti, si avverte una certa ostilità, e forse questa è una delle cause della crisi di vocazioni.

I santi ci dicono: il sacerdozio è l’amore del cuore di Gesù. Significa che è questione di cuore, di amore appassionato.

Dobbiamo essere uomini perdutamente innamorati.

Gesù deve diventare il nostro pensiero dominante, il palpito del nostro cuore, la logica dei nostri ragionamenti, il sospiro delle nostre notti, la dolce presenza nei momenti di solitudine.

Questo è il segreto della nostra vita: mentre sembra confinata in piccoli spazi, raggiunge la dilatazione del mondo; mentre operiamo in piccole parrocchie, nelle periferie, noi collaboriamo alla salvezza del mondo e questo pensiero affascina.

È il mistero del cuore di Gesù.

Gesù attrae ogni uomo quando viene elevato da terra, quando è inerme, quando sta solo, lontano dagli uomini: il suo cuore non si arresta, non brontola, ma salva.

Quando nel nostro ministero sperimentiamo la ferita della solitudine, l’incredulità di tanti nostri giovani, l’incomprensione degli amici, l’impotenza di fronte al grido di aiuto dei poveri, quando il nostro cuore sanguina, quello è il momento in cui il dolore diventa fecondo, genera alla fede, si configura al cuore di Cristo.

Cari confratelli, grazie per la vostra dedizione.

Grazie per la vostra amicizia.

Siamo pochi e fragili, piccoli di fronte alle responsabilità della nuova evangelizzazione, ma nulla ci impedisce  di vivere l’ essenziale: l’unità di vita e la carità pastorale, la ricerca della santità.

È questione di cuore.

Facciamo però della nostra vita un dono totale, non un semplice sacrificio, ma un olocausto, come la vedova del Vangelo: dona tutto quanto aveva per vivere.

Gesù moltiplica il poco se lo doniamo con gioia.

Così aiuteremo i nostri fratelli a raggiungere la santità.

Cari fratelli, pregate per i sacerdoti, e mentre pregate sentite il fascino anche del vostro sacerdozio: anche voi siete stati consacrati. Nel cenacolo il Signore ha pregato per i suoi discepoli riuniti intorno a Lui, guardando in avanti alla comunità dei discepoli di tutti i secoli, a “quelli che crederanno in me mediante la loro parola” (Gv 17, 20). Nella preghiera per i discepoli di tutti i tempi Egli ha visto anche voi e ha pregato per voi e ha chiesto: Consacrali nella verità. Ha chiesto la vostra santificazione. La consacrazione consiste nel togliere noi da proprietà del mondo e farci diventare proprietà sua.

Il battezzato non appartiene più a se stesso, ma vive immerso in Dio.

Qui è racchiuso tutto il mistero della nostra redenzione.

Qui è contenuto l’origine del sacerdozio di ogni battezzato, il fascino della nostra dignità.

Sostenuti da questa certezza ora insieme continuiamo la nostra preghiera..

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