Omelia Ingresso Cattedrale di Gallipoli – 6 ottobre 2013

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Omelia Ingresso Cattedrale di Gallipoli – 6 ottobre 2013

Gallipoli, 6 ottobre 2013
XXVII domenica del Tempo Ordinario
Omelia per la prima visita alla Città e alla Concattedrale di Gallipoli

Città bella incantevole è Gallipoli, nel suo naturale sito topografico. Definita in passato balcone delle fate, perla dello Ionio, essa continua a vivere come città ponte tra l’oriente e l’Occidente, crocevia di innumerevoli tradizioni e costumi civili e religiosi.

È uno scoglio melodioso, Gallipoli; essa, nonostante i preoccupanti squilibri economici ed ambientali, aggravati dall’endemica piaga della disoccupazione giovanile, appare, tuttavia, come variopinto giardino, con l’azzurra cornice del suo cielo del suo mare.

Città splendida per l’affascinante conchiglia della basilica Cattedrale, contenente all’interno una biblica pinacoteca, edificata dal connubio di fede, arte e sentimento popolare.

Ad essa si arriva percorrendo un ponte seicentesco che in passato, secondo gli storici locali, poggiava su dodici arcate. Dall’antica porta-terra esse si proiettano nel perimetro delle mura cittadine e attraverso dodici baluardi e fortini si intrecciano con altrettante dodici chiese, le nostre confraternite, nei secoli e, tuttora, centri di preghiera e di intensa solidarietà e vita cristiana.

Il numero dodici richiama le dodici colonne che sorreggono le tre navate di questo tempio, alberi maestri di un secolare veliero che naviga sulle onde della storia e delle nostre vicissitudini quotidiane. Le immagini dei dodici apostoli, come vigili sentinelle, sormontano i dodici altari minori che per qualche momento, captano lo sguardo stupefatto del visitatore e rimandano verso il gioiello dell’altare maggiore ricamato nel marmo policromo e finemente intarsiato con giochi di madreperla.

Solenne rapsodia di fede di pietà cristiana, eseguita nei secoli dalla concorde generosità di popolo e Pastori.

Con queste immagini, prese in prestito dal carissimo don Giuseppe Leopizzi, Presidente del capitolo cattedrale, che saluto e ringrazio per le parole con cui ha introdotto questa liturgia, voglio iniziare la mia riflessione sulla Parola di Dio che abbiamo ascoltato.

Leggendo queste suggestive espressioni nel libro di Antonio Barbino, mi è stato facile andare con la fantasia da questa isola, che rappresenta quasi un tempio maestoso, alla città descritta nell’Apocalisse.

Al Veggente dell’Apocalisse fu concesso di contemplare la splendida città di Dio.

L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio”.

La città è la Gerusalemme celeste, modello e meta della Chiesa terrena, della nostra chiesa che cammina nel tempo, prega, ama, serve sempre sollecita verso l’umanità ferita dal peccato e dalle ingiustizie sociali.

Mentre la Città celeste risplende della gloria di Dio, cioè è riflesso della sua presenza, la chiesa terrena, la nostra Chiesa di Nardò – Gallipoli ogni giorno ha bisogno di purificarsi e rigenerarsi nella fede, ricevere continuamente il dono dello Spirito, e attinge alla sorgente della grazia, con la preghiera, la liturgia, i sacramenti.

Mi piace pensare alla ricca tradizione religiosa, alle feste che ogni mese impreziosiscono il tessuto sociale di questa cittadina, e contribuiscano perché la religiosità si mantenga vive, sia autentica e sincera e non di facciata.

L’autore dell’Apocalisse scrive:

Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello”.

Ecco ciò che rende la città salda, compatta, armoniosa e bella: i basamenti; essa è costruita sulla testimonianza degli Apostoli.

Questo deve essere il segreto per la nostra stabilità: l’ascolto della Parola di Dio, l’Eucaristia, la comunione fraterna, il sincero discernimento dei problemi della comunità, la guida del Magistero della Chiesa.

Oggi abbiamo un esempio concreto.

La parola che è risuonata in questa cattedrale giunge a noi attraverso la predicazione degli apostoli e deve diventare programma di vita per ciascuno e per la comunità tutta.

Il Vangelo di S. Luca descrive Gesù che va verso Gerusalemme, viaggio che è metafora della nostra vita, lungo il percorso insegna come deve essere il rapporto del discepolo con i beni, con le persone, con Dio stesso.

Possiamo vivere lasciandoci guidare dallo Spirito di Dio o dallo spirito di Satana: possiamo vivere cioè attaccati alle ricchezze, al potere, al controllo sulle persone e addirittura su Dio, ma possiamo anche camminare con lo Spirito di Gesù, quello delle beatitudini, scegliendo come stile di vita l’umiltà, il servizio, il perdono. Possiamo vivere la stessa religiosità con lo spirito di Satana: nel Vangelo alla vigilia della passione  Pietro e gli apostoli litigano su chi è il più grande; anche nelle nostre comunità assistiamo a personalismi, divisioni, ipocrisie.. ma possiamo fare nostro lo stile di Gesù, quello della misericordia, dell’accoglienza dell’altro, del perdono, della fede autentica.

Il testo del Vangelo è bello, è ricco: Gesù ha parlato degli scandali che ci sono sulla terra, anche nella Chiesa, e ha incoraggiato a perdonare sempre; gli apostoli hanno compreso il messaggio e ne avvertono la fatica, per questo chiedono un supplemento di fede.

Signore, accresci la nostra fede

In pochi versi s. Luca descrive quattro elementi che devono essere presenti in ogni comunità: il peccato, il perdono, la fede, il servizio.

Il peccato, il male è in noi e accanto a noi, vive come la zizzania accanto al grano. Come i servi della parabola noi ci lamentiamo e vorremmo condannare il responsabile, giudichiamo, vorremmo giustamente estirparlo, dimenticando che siamo peccatori graziati.

Se il Signore dovesse eliminare il male, dovrebbe distruggere tutti, anche noi!

Invece, grazie alla misericordia divina il peccato diventa il luogo del perdono, della conversione, della festa, della risurrezione.

Occorre un supplemento di fede per chiedere e accogliere il perdono. Occorre una fede, grande quanto un granello di senape,  cioè la punta di uno spillo, per indurre l’albero di gelso, immagine dell’uomo, a convertirsi, a tuffarsi nel mare della misericordia di Dio.

Non basta una fede generica, come la nostra; occorre una fede forte.

S. Paolo scrive a Timoteo nella seconda lettura: Figlio mio, ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza. Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro, soffri con me per il Vangelo. Prendi come modello i sani insegnamenti che hai udito da me con la fede e l’amore, che sono in Cristo Gesù.

Il Signore ha preso su di sé il peccato, si è fatto peccato, maledizione per salvarci, e ci ha insegnato che se il fratello pecca, sbaglia, a noi spetta il compito di correggerlo con paterna cura, non di criticarlo e diffondere la notizia.

Dice il Signore:

Se si converte, perdonalo; se non si converte, non ammazzarlo, ma amalo di più.

Se l’altro non cambia, la colpa è mia, perché si è sentito criticato, giudicato, emarginato da me, non stimato. Il problema è mio se l’altro non cambia, se ogni volta che sbaglia lo giudico e lo condanno e non uso misericordia.

E’ interessante sentire Gesù che ci suggerisce di trattare chi non vuole cambiare come i pubblicani e i peccatori. Come? Come li ha trattati Lui: sono venuto per i peccatori. Devo trattarlo con maggiore amore, perché se fa il male significa che non si sente amato e nessuno gli ha insegnato ad amare: fratelli e sorelle stiamo nel cuore della vita cristiana.

Accogliamo la grazia del perdono per imparare a perdonare sempre. Non fomentiamo divisioni, liti, aggressività, violenza, rancori. Saremmo poveri disgraziati!

Noi dobbiamo convertirci! Il perdono è un miracolo più grande del ritorno ala vita di un cadavere, è una nuova creazione, è ripristinare l’immagine del figlio distrutta dal peccato, è dare all’altro la possibilità di vivere la gioia del figlio di Dio, la gioia di essere come Dio.

Anche noi stasera esclamiamo come gli apostoli: “Signore, aggiungici fede!”. E’ l’unica preghiera giusta che possiamo innalzare: “Abbiamo bisogno di un supplemento di fede!”

Fede che significa fiducia verso l’amore infinito di Dio. Se comprendiamo questo mistero profondo saremo capaci metterci a servizio degli altri, gratuitamente, generosamente, con gioia, come ha fatto Gesù nell’ultima cena che dopo aver dato da mangiare il suo corpo ha lavato i piedi ai suoi, spiegando il senso della sua missione: sono venuto per servire, per amare, non per farmi servire, e ci ha lasciato in eredità questo esempio.

E la parola che Gesù usa in aramaico è precisamente la parola di schiavo perché il servo è una persona che non appartiene al padrone, ma compie il lavoro per il padrone; lo schiavo invece appartiene al padrone, anche il lavoro che fa, appartiene al padrone. Noi dobbiamo essere schiavi gli uni degli altri, sentire di appartenere all’altro, – io sono tuo come tu sei mio – linguaggio tipico degli sposi, ricordando sempre che tutti apparteniamo a Dio e Dio appartiene a noi, nella reciproca gratuità: l’amore non si compra e non si paga.

Sacerdoti del presbiterio di Nardò Gallipoli, fratelli e sorelle che appartenete ai movimenti e associazioni ecclesiali, fratelli tutti questa è la Chiesa che vogliamo essere: una comunità a servizio gratuito, una comunità dove si fa a gara nel servire, perché abbiamo sperimentato il passaggio dalla tristezza del peccato alla gioia del perdono, perché sulla nostra pelle abbiamo sperimentato l’amore infinito di Dio, amore che ci spinge a servire gratuitamente, a diventare come Gesù.

Questa vuole essere la bellezza della nostra Chiesa e la sfida che ci attende: essere capaci di  vivere in comunione di fede e di carità, per fare della nostra Chiesa la casa di Dio, scuola di comunione, a sviluppare una spiritualità e una pastorale di comunione e di servizio, vivendo nell’appartenenza reciproca, in un clima fraterno di corresponsabilità la varietà dei doni e dei carismi, per sanare una parte delle sofferenze degli uomini del nostro tempo e del nostro territorio, che sono tante.

Tornando infine alla visione dell’Apocalisse, leggiamo:

A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e ad occidente tre porte… le sue porte non chiuderanno mai”.

Nella città di Dio le porte non si chiudono mai per raccogliere tutti.

La Chiesa che vive nel tempo è sempre in atteggiamento di accoglienza, è protesa alla missione, all’incontro con tutti; anche noi, chiesa di Nardò Gallipoli vogliamo essere accoglienti per condividere l’amore  di Dio con gli altri!

Le nostre parrocchie si devono distinguere per la capacità di accoglienza dell’altro, chiunque esso sia, regolare o irregolare, turista o immigrato, persona ricca o povera, disponibili sempre all’incontro con tutti.

 La visione finisce contemplando lo splendore della città:

Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino.

Nella città celeste tutto è perfetto e prezioso, verso di essa confluiscono tutti i popoli e portano la gloria e l’onore delle nazioni.

Anche noi, Chiesa di Nardò – Gallipoli vogliamo stare dentro la storia, portare il Vangelo nel cuore della gente, proporre una spiritualità incarnata nel quotidiano, santificare i luoghi della nostra vita quotidiana: la famiglia, la politica, il lavoro, la cultura, il divertimento, la sollecitudine verso le povertà materiali e spirituali.

La Gerusalemme del cielo non ha bisogno della luce del sole, perché la gloria di Dio la illumina.

Noi il sole lo abbiamo, desideriamo invece lasciare trasparire la luce spirituale,  quella luce che  nostre comunità diffondono quando, unite nell’amore, pregano, annunciano il vangelo, vivono la carità dentro e verso l’esterno sempre sensibili  nel promuovere ciò che è veramente umano.

 Sia questo il nostro desiderio più ardente: essere la città di Dio sulla terra e far vedere la bellezza della nostra fede mentre camminiamo insieme verso la celeste Gerusalemme. Amen

Fernando FILOGRANA
Vescovo di Nardò – Gallipoli

 

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