Omelia Ingresso Cattedrale Nardò – 28 settembre 2013

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Omelia Ingresso Cattedrale Nardò – 28 settembre 2013

1. Fratelli e sorelle, amati dal Signore, viviamo con fede questo momento di grazia, avvolti dalle suggestive immagini che abbelliscono l’abside della nostra Cattedrale, che proprio quest’anno festeggia il suo sesto centenario di elevazione da Chiesa Abbaziale Benedettina di Santa Maria di Nereto a Chiesa Cattedrale.

Il pensiero corre subito alle generazioni di vescovi, sacerdoti e fedeli santi, che qui si sono succeduti e che qui hanno pregato, pianto, gioito, incontrato il Signore, che qui hanno testimoniato la fede e ci hanno consegnato una cultura cristiana che noi vogliamo custodire fedelmente.

Anche noi vogliamo vivere il fascino di questa liturgia che ci apre al mistero e ci introduce nella comunione con Dio.

Lodo e ringrazio il Signore per la vostra presenza.

2. Stiamo vivendo l’anno della fede e attraverso la chiamata alla grazia dell’episcopato da parte di Papa Francesco, constatiamo ancora una volta come il Signore provvede alla sua Chiesa attraverso la guida di pastori, scelti in mezzo al suo popolo. Da oggi il mio nome si inserisce nella successione dei Vescovi di questa amata Chiesa; la mia missione si lega nel segno della comunione a quella di mons. Domenico Caliandro, pastore venerato e amato, al quale rivolgo un pensiero di fraterna gratitudine.

Saluto con grande affetto monsignor Luigi Ruperto, ringraziandolo per aver guidato come saggio amministratore questa Chiesa di Nardò-Gallipoli: esprimo a Lui gratitudine per il servizio svolto con amore e competenza e per le commoventi e sentite parole che mi ha indirizzato all’inizio di questa celebrazione.

Saluto e abbraccio l’amato presbiterio, sacramento di Cristo, servo e pastore: fratelli presbiteri, vi chiedo di accettare il mio abbraccio di comunione.

Si, le figure umane passano, ma è sempre Gesù, il  pastore bello delle pecore, che attraverso noi sacerdoti, nonostante i nostri limiti e gli ostacoli che talvolta poniamo, continua a rendere tangibile l’amore di Dio verso ciascuno uomo.

Il mio servizio in mezzo a voi sarà svolto in comunione con voi, con il sostegno dei diaconi e dei consacrati: sono convinto che, grazie alla carità fraterna con cui mi avete accolto, non mi farete mancare la vostra sincera e generosa collaborazione.

Saluto, seppur da lontano, le sorelle Carmelitane di Gallipoli, di San Simone e di Matino e le Clarisse di Nardò, presso le quali questa mattina in pellegrinaggio mi sono recato per portare la nostra gratitudine per la loro vita nascosta e offerta a Dio per noi.

Il mio sguardo ora si posa su di voi, fratelli e sorelle, speranza della Chiesa, testimoni del Vangelo in questo mondo complesso. A voi, seminaristi, giovani, famiglie cristiane, associazioni, confraternite, particolarmente a voi anziani, i malati e tutti voi che soffrite nel corpo o nello spirito: vi abbraccio e vi benedico.

Saluto, e per loro prego questa sera, le famiglie del settore calzaturiero di Casarano. L’accordo raggiunto pochi giorni fa con il gruppo Filanto, con la seppur parziale erogazione economica a tanti lavoratori e il riavvio della cassa integrazione, rasserena una difficile vertenza e dona un momento di tranquillità a tante famiglie della Diocesi. Auspico una nuova stagione di sviluppo produttivo e occupazionale che dia certezze di ricollocazione lavorativa e, conseguentemente, non si ricorra più’ ai soli ammortizzatori sociali che, seppur generando temporaneo sostegno economico, minano alla base la dignità della persona e lo stimolante impegno sociale quale é il lavoro! 

Ringrazio il Signore per la situazione del settore tessile nell’area di Nardò e la presenza della pista di prove automobilistiche; per il lavoro e i servizi, che sicuramente vanno migliorati, nel diffusissimo settore turistico/alberghiero della Diocesi nei mesi estivi.

Torno a rivolgere il mio grato e deferente saluto alle Autorità Civili e Militari, al Prefetto di Lecce, al Presidente della Provincia, al Sindaco di Nardò e tutti i sindaci dei comuni della diocesi, alle altre autorità civili e militari a tutti coloro che sono impegnati nell’amministrazione dei nostri comuni. Sono grato per la vostra presenza, apprezzo l’opera che svolgete a favore delle nostre popolazioni e vi prometto tutta la mia collaborazione per il bene comune del nostro popolo.

3. Fratelli e sorelle, in questo primo incontro con voi, nell’azione suprema dell’Eucarestia, non intendo proporre indicazioni pastorali: seguirò il cammino che avete già intrapreso e datemi il tempo per sintonizzarmi con voi. Vi chiedo solo una nuova conversione, un maggiore slancio carico di ottimismo, guardando alla meta che ci attende: la santità.

4. Intendo offrire a voi e a me stesso due riflessioni.

a. “Ecco, io vengo per fare la tua volontà!” (Eb. 10,7).

E’ il mio fiat al Signore.

Queste parole riassumono la missione di Gesù. Viene sulla terra per realizzare il disegno del Padre. Tutta la sua esistenza è animata da questo desiderio. “Non cerco la mia volontà” (Gv. 5,30). E quando muore sulla croce, può dire: “Tutto è compiuto”: ho portato compimento l’amabilissima volontà di mio Padre Dio.

Questo esempio e questo insegnamento devono illuminare la nostra esistenza. Come Gesù, anche noi siamo figli di Dio, chiamati a identificarci con lui. Nel nostro cuore e nella nostra testa dobbiamo avere sempre chiara questa santa ambizione: compiere la volontà di nostro Padre Dio. Ma non basta un desiderio generico, perché si compia il suo volere. Non basta ripeterlo tante volte nella preghiera del ‘Padre nostro’, perchè: “Non chi dice: Signore, Signore …. ma chi fa la volontà del Padre mio”( Mt. 7,21); importante è tradurre in opere e in verità quello che Dio chiede a ciascuno.

Così ha fatto la Madonna: ha pronunciato il suo “fiat” e ha perfettamente compiuto la volontà di Dio sempre, in ogni momento, tanto da meritare l’elogio pubblico del suo Figlio: “Chi è mia madre?… chi fa la volontà del Padre mio” (Mt. 12,49).

Assaporiamo quel “fiat” sincero e generoso di Maria che si traduce in sacrificio nascosto, silenzioso, quotidiano.

Ripetiamolo stasera nel profondo del cuore. Abituiamoci a dire spesso: Signore, lo vuoi tu? Lo voglio anch’io! Lo amo!

Stasera io lo dico nel mio cuore innanzitutto, cominciando il servizio pastorale in mezzo a voi.

Dal fatto che ci comportiamo come Dio vuole, dipendono molte cose grandi.

Noi siamo come pietre, blocchi da costruzione, che si muovono, che sentono, che hanno una volontà totalmente libera da vincoli. Dio stesso è lo scalpellino che smussa gli spigoli, modellandoci, secondo il suo desiderio. Se facciamo resistenza e tentiamo di schivare la Sua volontà, soffriremo di più e inutilmente e, invece di pietre levigate e pronte per edificare, diventeremo un mucchio informe di ghiaia destinati ad essere calpestata.

L’adesione alla volontà di Dio è il segreto per essere felici sulla terra: ne abbiamo molto bisogno oggi per recuperare un po’ di  serenità nei nostri cuori.

Carissimi fratelli e sorelle, il nostro cammino pastorale ed ecclesiale deve scaturire da una intensa vita interiore e deve collocarsi nella prospettiva della santità, e consiste in un intenso e intimo rapporto con Dio, fonte di vita e di gioia: Questa è la volontà di Dio: la nostra santificazione (cfr. 1 Ts.4,3)

Siamo chiamati a vivere la misura alta della vita cristiana, in un rapporto profondo con Cristo, che si alimenta ogni giorno con l’ascolto della Parola e con l’Eucaristia.

In ciò si deve concretizzare il primato di Dio nella nostra vita di discepoli.

Certo, il primo requisito che ci viene richiesto è: desiderare di compiere questa volontà. Se manca questo requisito, compare la tiepidezza, perdiamo tensione spirituale, perdiamo di vista la santità, non percepiamo più ciò che Dio ci chiede o si aspetta da noi, il peccato annebbia il nostro cuore, e ci adattiamo a  vivere in una specie di inquinamento spirituale, e subentra quella pigrizia, che ci induce a non complicarci la vita più di tanto. Allora il nostro diventa un volere senza volere, battiamo la fiacca spirituale, perdiamo lo slancio apostolico.

Fratelli sforziamoci di rispondere in ogni istante a ciò che Dio ci chiede: abbiamo volontà di amarlo con i fatti, con le parole e con le opere, ogni giorno, senza tralasciare il nostro dovere e avremo pace e saremo apostoli, santi.

b. Ora contempliamo il Vangelo di questa liturgia della XXVI domenica. Ci aiuta l’iconografia dell’abside.

Noi stiamo quaggiù sulla terra con la fede debole, l’esperienza e le sue conseguenze del peccato: Dio lo sentiamo lontano, quasi assente, e facciamo fatica  a risolvere le profonde ingiustizie sociali e a vivere autentiche relazioni umane.

In alto, c’è uno squarcio di cielo, il mondo di Dio, pieno di luce: c’è l’Assunta, ci sono alcune scene evangeliche del Maccari.

Il Vangelo presenta un ricco e il povero Lazzaro: due uomini che vivono in due condizioni sociali opposte. Nulla di nuovo. Anche oggi c’è questa scandalosa disuguaglianza fra le persone, all’interno delle nostre comunità e in ambito mondiale. I ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri ed emarginati.

Una sorta di ipnosi ci impedisce di aprire gli occhi e vedere.

Allora interviene la luce della Rivelazione per farci rendere conto che la realtà sulla terra è diversa da quella del cielo. Sopra, in cielo c’è Abramo con Lazzaro, sotto c’è il ricco. La condizione storica dei due personaggi, la nostra condizione sulla terra, non sono definitive, prima o poi inesorabilmente finiscono: la morte pareggia tutte le esistenze, e introduce nella condizione definitiva, eterna, dove Dio interviene per dare a ciascuno il suo.

La nostra vita è una cosa seria, Dio prende sul serio la nostra vicenda terrena.

Cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni”, ci ha detto la Parola di Dio nella seconda lettura.

Il Vangelo ci svela il destino, la meta finale della nostra esistenza: la vita eterna. S. Cipriano scrive: questa sarà la tua gloria e la tua felicità, essere ammesso a vedere Dio, avere l’onore di partecipare alle gioie della salvezza e della luce eterna insieme con Cristo, il Signore tuo Dio (cfr, CCC.1028).

A questa vita siamo stati destinati: non siamo venuti al mondo per caso o per chissà quale oscura necessità, ma perché Dio ci ha chiamati alla comunione con Lui.

Unica condizione per vivere bene è riconoscere Dio come Padre, e riconoscere gli altri come fratelli nostri, figli dell’unico Padre. I beni che abbiamo sono doni del Padre destinati a tutti i figli da condividere e diventino fonte di gioia e di benedizione per tutti. Se non li condividiamo, diventano maledizione, motivo di guerre e di ingiustizia.

La storia e la cronaca quotidiana testimoniano questa verità: tanto egoismo, tanta sopraffazioni, tanto benessere malato, tanta violenza anche nelle case.

Purtroppo tutti siamo pronti a criticare, ma in fondo questo stile di vita ci piace, lo desideriamo e non facciamo nulla per cambiarlo, per migliorarlo. Sogniamo di diventare ricchi per avere la possibilità di affrontare qualsiasi problema. E pensare che noi cristiani dovremmo essere sale per dare sapienza di vita, testimoni dello stile di vita evangelico!

Luca è un bravo pittore.

Dipinge un uomo senza nome: per nome ha la firma che sui vestiti. Quest’uomo non mangia per vivere: se la gode splendidamente. Tre pennellate lo definiscono: apparire, possedere, prestigio. 

Poi Luca dipinge l’altra categoria di persone: il povero, lo dipinge non vestito, ricoperto di piaghe, si chiama Lazzaro che significa, Dio aiuta.

Sì, Dio aiuta il povero e attraverso il povero Dio aiuta noi. Dice Gesù: “Ciò che avete fatto ad uno dei miei fratelli più piccoli, l’ avete fatto a me!

Dove sta questo povero? Lì, gettato davanti alla porta, col desiderio di alcune briciole che il ricco produce pulendosi le mani e poi le getta ai cani. E’ vestito di porpora e di bisso, non si può sporcare.

 Il povero è il Cristo piagato, è il servo sofferente che ripugna alla vista.

Non riusciamo a sostenere lo sguardo.

E’ il povero che vive accanto a noi, nelle nostre parrocchie, quello che facciamo finta di non vedere.

E’ quella parte di umanità che muore di fame.

Chi rimette le cose a posto? Chi opera il capovolgimento che vedioamo nel Vangelo?

Alla fine della vita Dio interviene per dare a ciascuno il suo.

Il povero muore, viene liberato da questa condizione malvagia. Lui, l’abbandonato, l’espulso fuori dalla porta è condotto nella gloria, nella comunione con Dio e coi fratelli. Entra nel Regno.

Il ricco, i cui beni rimangono sulla terra, finisce nella polvere, chiuso nei suoi forzieri, lì dove si è abituato a stare e dove ha fatto festa e ha vestito abiti firmati per esorcizzare la paura di diventare come quell’uomo povero.

Nei mosaici antichi i santi, soprattutto i martiri, venivano raffigurati con occhi aperti, grandi, meravigliati, perché la morte è il momento della visione delle realtà soprannaturali.

Gesù stasera parla a noi: Egli si è fatto povero, per stare accanto al povero e aiutarlo a sperare e farlo uscire dalle insidie e dagli inganni e vedere dove sta la gloria.

Apriamo gli occhi per vivere bene il presente, non per spaventarci ma per imparare a usare ciò che possediamo, per creare un mondo solidale e fraterno, dove usiamo i beni per condividere e non per emarginare o uccidere.

Il Card. Bagnasco ha parlato lunedì scorso del virus dell’individualismo. “Il suolo umano, infatti, si sta impoverendo e si svuota di relazioni, legami, responsabilità, divenendo così friabile e inconsistente. Al punto che l’uomo stesso, su questo terreno, finisce per diventare “di sabbia”, una figura fluida con una pesante sensazione di stanchezza. È schiacciato dall’urgenza di farsi da sé in una competizione continua e lo Stato, sul piano giuridico, si trasforma in una sorta di nobile notaio dei desideri, delle istanze e forse delle pretese dei singoli. … Ed egli si trova tristemente solo in un terreno fatto da una moltitudine di punti-io. … Sembra che il bisogno di sentirsi “vivi”, “al mondo”, non avvenga più attraverso la normalità delle buone relazioni quotidiane – in famiglia, nell’amicizia, nel lavoro…– ma nel brivido comunque acquisito, fino al disprezzo della vita propria e altrui… Bisogna invertire più in fretta la marcia del pensare per poter vedere gli effetti desiderati nella civile e serena convivenza. La vita, l’amore, la libertà, la famiglia… sono alcuni dei luoghi che esprimono, custodiscono e alimentano l’umano”. (fin qui il Cardinale)

Figlio tu hai ricevuto i tuoi beni sulla terra cosa ne hai fatto? Li hai usati per condividerli? Stai usando i beni per distinguerti, per dominare, per godere… per scavare abissi’?’

E’ una parabola forte: svela la verità della storia.

Il destino è nelle nostre mani: i poveri non disturbano ma salvano.

L’Eucaristia che quotidianamente celebriamo nelle nostre comunità ci ricordi che il sacrificio di Cristo, ha abbattuto ogni muro di separazione e vuole in Lui riunire l’umanità.

5. Iniziamo a scrivere insieme una nuova pagina di storia. Rinnoviamo la nostra professione di fede, capace di incidere nella vita personale, conformandola al progetto di Dio, e incidere nelle relazioni con il prossimo.

S. Gregorio Armeno, che ha protetto Nardò nel terremoto del 1743, S. Agata, Patrona dell’antica diocesi di Gallipoli, S. Giuseppe da Copertino, che ha assaporato la povertà, S. Egidio da Taranto, la serva di Dio Sr. Chiara Isabella d’Amato, fra Giuseppe Ghezzi, fra Silvestro da Copertino e tanti altri testimoni della fede ci incoraggino e ci convincano che la fede per sua natura è inseparabile dalla carità, essenza del cristianesimo, quando è autentica, si traduce in solidarietà.

Deve essere un punto di onore, fratelli e sorelle della Chiesa di Nardò-Gallipoli, il farci carico delle condizioni di vita della gente, dei fratelli bisognosi. Non vogliamo essere cristiani di anagrafe e di facciata, ma di sostanza e di coerenza.

Se andiamo a messa la domenica e tutti i giorni e se preghiamo, se nelle nostre comunità parrocchiali ci diamo da fare per servire i poveri, lo facciamo per essere, sempre più, cristiani adulti nella fede.

E’ urgente ritornare a Dio per conoscere davvero noi stessi e costruire la civiltà dell’amore.

Riaccendiamo la speranza, è il tema di questo anno pastorale, infiammiamo il cuore di amore e….

Ricominciamo.

Volgiamo lo sguardo al Crocifisso, il Cristo nero, che sta qui in mezzo a noi. Gesù sulla croce ha consegnato il suo spirito nelle mani del Padre e gli uomini gli hanno squarciato il costato.

Quel costato, pieno di amore, di misericordia, è rimasto aperto per riversare in noi il suo Spirito vitale e per aiutarci a leggere la storia del nostro tempo, per proporre come soluzione dei problemi la via dell’amore, per trasformare i nostri cuori di pietra, in cuori di carne, aperti a Dio e ai fratelli.

Questo è il dono che Dio vuole fare agli uomini di buona volontà per la sopravvivenza dell’umanità,

La Madonna della Salute e della Coltura, serva del Signore, esempio di carità vissuta, sani le nostre ferite, interceda per noi e ci protegga.

La bellezza di Dio risplenda nel cuore di ciascuno di noi e renda bella la nostra Chiesa, sposa del Signore.

Vi abbraccio confidando nella vostra preghiera e nel vostro affetto.

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